Il danno morale nei prossimi congiunti deve essere sempre risarcito.
Con la sentenza n. 7748 del 8 aprile 2020 la terza sezione civile della cassazione, tornando sul tema del danno da perdita parentale, ha chiarito che il danno morale dei prossimi congiunti di una persona lesa in un incidente stradale può essere provato mediante presunzioni, quale conseguenza connaturale all’essere umano.
Si tratta di una decisione importante ai fini della tutela dei diritti degli eredi di quanti hanno subìto la perdita di un loro familiare in un incidente stradale ed una vittoria di Adism, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in relazione agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione con riferimento agli articoli 2043 e 2059 del codice civile, relativamente a quanto affermato dalla stessa sezione della cassazione con la sentenza 11200/2019,in cui si è affermato che: “la mera relazione di consanguineità non è da sola sufficiente ad integrare il danno risarcibile, gravando sui congiunti l’onere di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto”.
La perdita di un familiare rappresenta il più grande sconvolgimento che possa capitare nella vita di un essere umano, ponendo spesso fine alla voglia di vivere, una mancanza ed un dolore non sanabile nel tempo. Negare che l’uccisione di un proprio familiare costituisca violazione dei diritti, e dunque, dei danni, perlomeno non patrimoniali, dei congiunti superstiti è nozione contraria ai principi basilari del sentire sociale e del diritto che è chiamato a tutelare tali beni supremi: la salute, la piena dignità sociale e l’uguaglianza sostanziale dell’individuo di fronte alla legge; così come anche non riconoscere che il dolore possa essere provato e manifestato in maniera differente e soggetto a valutazione equitativa da parte di organi giudicanti differenti e con propri distinti convincimenti.
L’articolo 32 della Costituzione,
riconosce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività; l’articolo 2 garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, mentre l’articolo 3 afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge: dovere dimostrare lo sconvolgimento della propria vita per l’uccisione di un familiare è in contrasto con tali principi, violando la dignità sociale che si manifesta anche nel rispetto dell’altrui dolore che non deve essere calpestato, né, tantomeno può costituire oggetto di prova nella generalità dei casi, attesa la natura interiore e strettamente personale del sentimento.
E’, dunque, errato parlare per i congiunti della vittima gravemente lesa, o morta in un incidente stradale per condotta illecita altrui, di danno riflesso, dovendo correttamente farsi riferimento ad un danno diretto, non suscettibile a prova più rigorosa del danno con la dimostrazione dello sconvolgimento delle abitudini di vita, poiché nell’ambito delle presunzioni assume un rilievo primario proprio il rapporto di parentela stretta tra i congiunti e la vittima.
Avvocato Gianluca Sposato – Presidente Adism