Risarcimento Danni

Riflessioni sul danno alla persona

Riflessioni sul danno alla persona e risarcimento del danno da morte Con la sentenza a Sezioni Unite n. 15350/15 la Suprema Corte conferma la non risarcibilità del danno subito dalla vittima in conseguenza della morte. Le Sezioni Unite erano chiamate ad affrontare il quesito, a seguito dell’ordinanza di rimessione n. 5056/2014, circa la risarcibilità, o meno, del danno da perdita del rapporto parentale. Il danno per la perdita della vita, immediatamente conseguente alle lesioni derivanti da fatto illecito, conduce a tesi prevalente di segno negativo. Lacerando, in tal modo,  la speranza introdotta dalla sentenza nomofilattica n. 1361/2014 (Relatore Scarano) e ribadendo che non è possibile risarcire il danno evento, neanche in via eccezionale. Il danno da morte è danno evento, o danno conseguenza? Le riflessioni sul danno alla persona, in tema di danno da perdita del rapporto parentale, non possono non tener conto della teoria del danno evento e danno  conseguenza. Tale punto di vista rivela le lacune di un impianto normativo non garantista su un tema che non dovrebbe consentire alcun dubbio interpretativo, come quello della perdita della vita umana e della riparazione del danno da morte in capo agli eredi per fatto illecito. Basti pensare che la risarcibilità del danno conseguenza deriva principalmente dalla lettera dell’articolo 1223 del codice civile, laddove si parla di “conseguenza immediata e diretta”. Quando la vittima muore, a rigore, l’evento mortale coincide con la conseguenza quale la perdita della vita, con il corollario che il c.d. danno evento ed il c.d. danno conseguenza si fondono, rendendo così predicabile l’art. 1223 c.c. Riflessioni sul danno alla persona: il danno da morte deve essere provato La Cassazione ricorda, invece, che deve ritenersi inderogabile il principio secondo cui “il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, essendo danno conseguenza, non coincide con la lesione dell’interesse e come tale deve essere allegato e provato da chi chiede il risarcimento”. La liquidazione del danno non patrimoniale deve avvenire in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della convivenza e di ogni altra ulteriore circostanza allegata» (Cass. civ. n. 14931/2012). Inoltre, anche quando il danno non patrimoniale abbia determinato la lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato, non potendo condividersi la tesi che trattasi di “danno in re ipsa”, sicché dovrà al riguardo farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008 n. 26972). Riflessioni sul danno alla persona: danno iure proprio e danno iure hereditatis Per introdurre la questione, assumiamo che un illecito abbia provocato la morte di un individuo: fino alla già citata Sentenza Scarano la legittimazione ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale direttamente subito per effetto della morte veniva accordata (iure proprio) ai congiunti del defunto. Mentre si escludeva che gli eredi potessero ottenere (iure hereditario) il risarcimento del pregiudizio subito dal de cuius in conseguenza del decesso. La già citata sentenza Scarano, in assoluta controtendenza rispetto al passato, ha invece ammesso la risarcibilità iure hereditario del danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni derivanti da un fatto illecito. La necessità di risolvere il contrasto ha offerto alle Sezioni Unite la possibilità di considerare organicamente la risarcibilità di tutti i pregiudizi subiti dal defunto per effetto dell’illecito, siano essi anteriori, o conseguenti al momento del decesso. Cosa è il danno biologico terminale? Le riflessioni sul danno alla persona, in quanto danno riflesso, o da rimbalzo, dunque trasmissibile agli eredi o ai familiari più prossimo della vittima e/o del danneggiato, non si fermano qui. Il danno biologico terminale fa riferimento al danno alla salute patito dalla vittima di un illecito nel periodo intercorrente tra la lesione e la morte. Detto pregiudizio, in altre parole, si identifica nel danno biologico patito da colui che, sopravvissuto per un considerevole lasso di tempo ad un evento poi rivelatosi mortale, abbia, in tale periodo, sofferto una lesione della propria integrità psico-fisica autonomamente considerabile come danno biologico, quindi accertabile (ed accertata) con accertamento medico-legale del danno e liquidabile alla stregua dei criteri adottati per la liquidazione del danno biologico vero e proprio (Cassazione, Sezione Terza, 13 dicembre 2012 n. 22896). Ferma restando la risarcibilità iure proprio del danno subito dai congiunti, da intendersi danno tanatologico, o danno conseguente alla morte, i pregiudizi subiti dalla vittima suscettibili di essere risarciti iure hereditario sono: – il danno biologico terminale, o danno conseguente al deterioramento della salute della vittima dal momento della lesione a quello della morte, essendo tuttavia necessario che tale intervallo abbia una durata apprezzabile – di qui, l’appellativo di “danno cronometrico”; – il danno catastrofale, o danno conseguente alla sofferenza subita dalla vittima dal momento della lesione a quello della morte, purché la vittima abbia percepito l’imminenza del decesso; Cosa è il danno catastrofale? Il danno catastrofale o danno catastrofico è il pregiudizio patito da colui che, a seguito di un illecito, sia deceduto dopo un lasso di tempo non idoneo a determinare la risarcibilità del danno biologico terminale. Esso è, alla stregua della ricostruzione maggioritaria, un danno morale, che si concreta in una sofferenza psichica di massima intensità, anche se di durata contenuta. Le Sezioni Unite San Martino, in particolare, aderendo a tale ricostruzione, hanno affermato che “il giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall’evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita (sent. n. 1704/1997 e successive conformi), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura (sent. n. 6404/1998 e successive conformi). Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione